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I VOLTI DI MARIA A PIOVE DI SACCO

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Messaggio  federico.meneghello Mer 20 Mag - 6:24

I VOLTI DI MARIA A PIOVE DI SACCO

Senza distogliere il nostro sguardo e la ammirazione per il volto di Maria del Bellini, venerato nel nostro Santuario da tutti i Fedeli della Saccisica, vogliamo cercare nel nostro territorio quali altre espressioni gli Artisti hanno impresso alla Madre di Dio e alla Mediatrice di tutte le Grazie.


L’Ancona di Guglielmo Veneziano a San Nicolò

La devozione mariana a Piove di Sacco è testimoniata dalle numerose opere d’arte che la storia ha lasciato nella nostra città. Opere il cui gusto estetico è variato, ovviamente, nel corso dei secoli ma che sono quasi sempre state il frutto di un affetto e di una solidarietà diffusi in tutti gli strati della popolazione, e che hanno talora consentito la realizzazione di progetti dotati di un’importanza ancor oggi non pienamente posta in luce ma la cui certezza emerge alla semplice constatazione del contesto che le ha originate.
È questo il caso dell’ancona trecentesca di Guglielmo Veneziano sita nella chiesa di San Nicolò a Piove di Sacco e che comprende, oltre alla Madonna, anche quattro santi già allora molto venerati qui da noi: Martino, Giovanni Battista, Nicolò e Francesco.
Esisteva già almeno dal XI secolo nella borgata di San Nicolò una chiesetta intitolata al santo protettore dei naviganti. E non a caso, poiché proprio i “naviganti” di Piove di Sacco avevano bisogno della sua protezione. Infatti, anche se al giorno d’oggi può sembrare strano, nel medioevo risultava più facile ed efficace il traffico fluviale che quello stradale; si riveniva infatti dal grande disastro della caduta dell’Impero Romano e dalle invasioni barbariche che avevano distrutto quasi per intero le infrastrutture di cui anche il territorio della Saccisica era dotato. Ragion per cui i traffici commerciali molto fitti esistenti a cavallo dei due millenni tra la nostra terra e Venezia avvenivano attraverso il Fiumicello, con un porto fluviale che andava dal centro cittadino e praticamente dal Ponte Transalgard, fino all’attuale ponte Bragato. I nostri barcaioli, coi loro bragozzi e chiatte, dopo aver chiesto protezione a San Nicolò nella chiesa piovese, partivano alla volta di Venezia percorrendo tutta l’asta fluviale fino alla laguna nei pressi di Fusina, per poi proseguire in acque più aperte fino a San Nicolò dei Mendicoli, punto di approdo più meridionale della città lagunare; quindi da una chiesa di San Nicolò all’altra. Viceversa avveniva per in ritorno e sempre sotto l’egida dei santo dei naviganti. I commerci erano gestiti da questi nostri antenati riuniti in un organismo detto “Fraglia dei barcaioli”, quasi un’odierna associazione di categoria, con sede proprio nella nostra chiesetta di San Nicolò. Oggi possiamo solo immaginare il grande attaccamento che quegli uomini e le loro famiglie avevano per il Santo vescovo. Ci può aiutare il pensiero dei pericoli che quei naviganti correvano trasportando da Piove a Venezia frumento, canapa, lino, salumi e pollame e ritornando da Venezia a Piove portando le preziose mercanzie dell’oriente quali spezie (pepe, cannella, chiodi di garofano) e stoffe. Ci può aiutare il pensiero degli uomini lontani da casa per settimane e soggetti ai capricci del vento e delle tempeste che, sia lungo il fiume che dentro alla laguna, potevano rovinare il carico o addirittura affondare le barche e far perdere la vita. Ecco allora questi nostri antenati affidare le loro vite alla protezione di San Nicolò. E le donne e i bambini, a casa, pregare il Santo nella piccola chiesa affinché gli uomini tornassero sani e salvi e provvisti di un onesto guadagno. Così alta era la coesione e l’affetto al loro protettore all’interno della fraglia e tra le famiglie del borgo di San Nicolò che i nostri barcaioli riuscirono verso il 1360 a scomodare il pittore ufficiale della Serenissima, certo Guglielmo già celebre a Venezia per avere dipinto la grande tavola che copre la Pala d’oro, e convincerlo a dipingere per loro quel meraviglioso polittico che sta ancor oggi nella nostra chiesa curaziale. A distanza di tanti secoli possiamo solo immaginare il sacrificio economico a cui gente semplice come loro si è sottoposta per pagare adeguatamente un così famoso artista.
Come detto sopra, il dipinto ligneo si compone di quattro parti dedicate ad altrettanti santi molto cari ai piovesi, e uno più grande, quello centrale, dedicato a Maria. Ed è proprio su questa parte che mi soffermerò per analizzarne lo stile e il significato, che poco o punto ha a che fare con le molte altre immagini mariane della chiesa, pur esse comunque bellissime. Quella di Guglielmo è una Madonna del tipo “in maestà”, cioè seduta. Qui in realtà lo scranno non è un vero e proprio trono come appare in molti affreschi delle pareti della chiesa, bensì di una solida panca di legno dotata di un semplice cuscino; quello che invece dà la necessaria solennità e suggerisce l’idea del trono è il drappo di velluto rosso che sembra letteralmente appeso dietro la Vergine e che ricade con pieghe ampie e marcate sul cuscino sul quale Lei è assisa, per poi fluttuare più giù fin quasi al pavimento.
Siamo alla metà del ‘300 e quindi la cultura in voga vuole che la Donna ci sia presentata come una regina, bella e austera, quasi irraggiungibile. Le vesti, solo cromaticamente semplici, sono costituite da un camice di seta cangiante di un rosso pallido, a simboleggiare il dolore; il manto, completo di cappuccio, è ampio e “double face”, azzurro all’esterno, a simboleggiare la natura celestiale di Maria, e d’oro all’interno, a raffigurare la preziosità di quanto in esso è racchiuso. Il solenne indumento è fermato sul petto da un prezioso fermaglio, vero e proprio gioiello finemente composto di oro e di pietre, e si adagia sulle ginocchia della Donna con abbondanza di pieghe che donano spessore e prospettiva alla figura. Ancora un oggetto conferisce e consacra la regalità della Donna: la corona “alla francese” che porta sul capo, anche questa finemente composta di lamine d’oro e pietre preziose. Sulle ginocchia Maria ha il Bimbo che, come tutti i bimbi è irrequieto e si agita e gesticola, tanto che Lei è costretta a tenerlo ben saldo con entrambe le mani. Mentre Lei guarda noi con espressione seria e tuttavia evocativa, Lui guarda Lei e vuole chiaramente sciogliersi da quell’abbraccio che gli impedisce di scendere e realizzare quello che già le sue mani dichiarano e che sarà poi il suo destino ultimo: la salvezza dell’umanità, indicata dal gesto benefico della manina destra, da realizzarsi attraverso il suo sacrificio personale e totale, indicato dall’uccellino rosso che tiene con la manina sinistra e che guarda proprio Lui. Il visetto del Bimbo, delicato e innocente, è circonfuso da un nimbo d’oro sul quale è già inciso il segno del patibolo.
In poco ma raffinatissimo spazio Guglielmo, pittore di corte del Doge, ha saputo realizzare un vero e proprio capolavoro che è con noi da quasi settecento anni.

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Messaggio  federico.meneghello Ven 22 Mag - 19:36

Senza distogliere il nostro sguardo e la nostra ammirazione per il volto di Maria del Giambellino
venerato nel nostro Santuario da tutti i Fedeli della Saccisica, vogliamo cercare in questo territorio quali ispirazioni hanno guidato gli artisti nel cogliere nuove fisionomie nella Madre di Dio e Mediatrice di tutte le Grazie.

* Certamente ispirata è l’ancona trecentesca di Guglielmo Veneziano sita nella chiesa di San Nicolò a Piove di Sacco e che comprende, oltre alla Madonna, anche quattro santi già allora molto venerati qui da noi: Martino, Giovanni Battista, Nicolò e Francesco.
Esisteva già almeno dal XI secolo nella borgata di San Nicolò una chiesetta intitolata al santo protettore dei naviganti. E non a caso, poiché proprio i “naviganti” di Piove di Sacco avevano bisogno della sua protezione. Infatti, anche se al giorno d’oggi può sembrare strano, nel medioevo risultava più facile ed efficace il traffico fluviale che quello stradale; si riveniva infatti dal grande disastro della caduta dell’Impero Romano e dalle invasioni barbariche che avevano distrutto quasi per intero le infrastrutture di cui anche il territorio della Saccisica era dotato. Ragion per cui i traffici commerciali molto fitti esistenti a cavallo dei due millenni tra la nostra terra e Venezia avvenivano attraverso il Fiumicello, con un porto fluviale che andava dal centro cittadino e praticamente dal Ponte Transalgard, fino all’attuale ponte Bragato. I nostri barcaioli, coi loro bragozzi e chiatte, dopo aver chiesto protezione a San Nicolò nella chiesa piovese, partivano alla volta di Venezia percorrendo tutta l’asta fluviale fino alla laguna nei pressi di Fusina, per poi proseguire in acque più aperte fino a San Nicolò dei Mendicoli, punto di approdo più meridionale della città lagunare; quindi da una chiesa di San Nicolò all’altra. Viceversa avveniva per il ritorno e sempre sotto l’egida del santo dei naviganti. I commerci erano gestiti da questi nostri antenati riuniti in un organismo detto “Fraglia dei barcaioli”, quasi un’odierna associazione di categoria, con sede proprio nella nostra chiesetta di San Nicolò.

* Ecco allora questi nostri antenati affidare le loro vite alla protezione di San Nicolò. E le donne e i bambini, a casa, pregare il Santo nella piccola chiesa affinché gli uomini tornassero sani e salvi e provvisti di un onesto guadagno. Così alta era la coesione e l’affetto al loro protettore all’interno della fraglia e tra le famiglie del borgo di San Nicolò che i nostri barcaioli riuscirono verso il 1360 a scomodare il pittore ufficiale della Serenissima, certo Guglielmo già celebre a Venezia per avere dipinto la grande tavola che copre la Pala d’oro, e convincerlo a dipingere per loro quel meraviglioso polittico che sta ancor oggi nella nostra chiesa curaziale. A distanza di tanti secoli possiamo solo immaginare il sacrificio economico a cui gente semplice come loro si è sottoposta per pagare adeguatamente un così famoso artista.
Come detto sopra, il dipinto ligneo si compone di quattro parti dedicate ad altrettanti santi molto cari ai piovesi, e uno più grande, quello centrale, dedicato a Maria.
* L’immagine mariana di Guglielmo è una Madonna del tipo “in maestà”, cioè seduta. Qui in realtà lo scranno non è un vero e proprio trono come appare in molti affreschi delle pareti della chiesa, bensì di una solida panca di legno dotata di un semplice cuscino; quello che invece dà la necessaria solennità e suggerisce l’idea del trono è il drappo di velluto rosso che sembra letteralmente appeso dietro la Vergine e che ricade con pieghe ampie e marcate sul cuscino sul quale Lei è assisa, per poi fluttuare più giù fin quasi al pavimento.
Siamo alla metà del ‘300 e quindi la cultura in voga vuole che la Donna ci sia presentata come una regina, bella e austera, quasi irraggiungibile. Le vesti, solo cromaticamente semplici, sono costituite da un camice di seta cangiante di un rosso pallido, a simboleggiare il dolore; il manto, completo di cappuccio, è ampio e “double face”, azzurro all’esterno, a simboleggiare la natura celestiale di Maria, e d’oro all’interno, a raffigurare la preziosità di quanto in esso è racchiuso. Il solenne indumento è fermato sul petto da un prezioso fermaglio, vero e proprio gioiello finemente composto di oro e di pietre, e si adagia sulle ginocchia della Donna con abbondanza di pieghe che donano spessore e prospettiva alla figura. Ancora un oggetto conferisce e consacra la regalità della Donna: la corona “alla francese” che porta sul capo, anche questa finemente composta di lamine d’oro e pietre preziose. Sulle ginocchia Maria ha il Bimbo che, come tutti i bimbi è irrequieto e si agita e gesticola, tanto che Lei è costretta a tenerlo ben saldo con entrambe le mani. Mentre Lei guarda noi con espressione seria e tuttavia evocativa, Lui guarda Lei e vuole chiaramente sciogliersi da quell’abbraccio che gli impedisce di scendere e realizzare quello che già le sue mani dichiarano e che sarà poi il suo destino ultimo: la salvezza dell’umanità, indicata dal gesto benefico della manina destra, da realizzarsi attraverso il suo sacrificio personale e totale, indicato dall’uccellino rosso che tiene con la manina sinistra e che guarda proprio Lui. Il visetto del Bimbo, delicato e innocente, è circonfuso da un nimbo d’oro sul quale è già inciso il segno del patibolo.
In poco ma raffinatissimo spazio Guglielmo, pittore di corte del Doge, ha saputo realizzare un vero e proprio capolavoro che è con noi da quasi settecento anni.

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Messaggio  don.battista Sab 23 Mag - 12:03

[quote="federico.meneghello"Senza distogliere il nostro sguardo e la nostra ammirazione per il volto di Maria del Giambellino
venerato nel nostro Santuario da tutti i Fedeli della Saccisica, vogliamo cercare in questo territorio quali ispirazioni hanno guidato gli artisti nel cogliere nuove fisionomie nella Madre di Dio e Mediatrice di tutte le Grazie.

*  "  Certamente ispirata è l’ancona trecentesca di Guglielmo Veneziano sita nella chiesa di San Nicolò a Piove di Sacco e che comprende, oltre alla Madonna, anche quattro santi già allora molto venerati qui da noi: Martino, Giovanni Battista, Nicolò e Francesco.
Esisteva già almeno dal XI secolo nella borgata di San Nicolò una chiesetta intitolata al santo protettore dei naviganti. E non a caso, poiché proprio i “naviganti” di Piove di Sacco avevano bisogno della sua protezione. Infatti, anche se al giorno d’oggi può sembrare strano, nel medioevo risultava più facile ed efficace il traffico fluviale che quello stradale; si riveniva infatti dal grande disastro della caduta dell’Impero Romano e dalle invasioni barbariche che avevano distrutto quasi per intero le infrastrutture di cui anche il territorio della Saccisica era dotato. Ragion per cui i traffici commerciali molto fitti esistenti a cavallo dei due millenni tra la nostra terra e Venezia avvenivano attraverso il Fiumicello, con un porto fluviale che andava dal centro cittadino e praticamente dal Ponte Transalgard, fino all’attuale ponte Bragato. I nostri barcaioli, coi loro bragozzi e chiatte, dopo aver chiesto protezione a San Nicolò nella chiesa piovese, partivano alla volta di Venezia percorrendo tutta l’asta fluviale fino alla laguna nei pressi di Fusina, per poi proseguire in acque più aperte fino a San Nicolò dei Mendicoli, punto di approdo più meridionale della città lagunare; quindi da una chiesa di San Nicolò all’altra. Viceversa avveniva per il ritorno e sempre sotto l’egida del santo dei naviganti. I commerci erano gestiti da questi nostri antenati riuniti in un organismo detto “Fraglia dei barcaioli”, quasi un’odierna associazione di categoria, con sede proprio nella nostra chiesetta di San Nicolò.

*  Ecco allora questi nostri antenati affidare le loro vite alla protezione di San Nicolò. E le donne e i bambini, a casa, pregare il Santo nella piccola chiesa affinché gli uomini tornassero sani e salvi e provvisti di un onesto guadagno. Così alta era la coesione e l’affetto al loro protettore all’interno della fraglia e tra le famiglie del borgo di San Nicolò che i nostri barcaioli riuscirono verso il 1360 a scomodare il pittore ufficiale della Serenissima, certo Guglielmo già celebre a Venezia per avere dipinto la grande tavola che copre la Pala d’oro, e convincerlo a dipingere per loro quel meraviglioso polittico che sta ancor oggi nella nostra chiesa curaziale. A distanza di tanti secoli possiamo solo immaginare il sacrificio economico a cui gente semplice come loro si è sottoposta per pagare adeguatamente un così famoso artista.
  Come detto sopra, il dipinto ligneo si compone di quattro parti dedicate ad altrettanti santi molto cari ai piovesi, e uno più grande, quello centrale, dedicato a Maria.
*   L’immagine mariana di Guglielmo è una Madonna del tipo “in maestà”, cioè seduta. Qui in realtà lo scranno non è un vero e proprio trono come appare in molti affreschi delle pareti della chiesa, bensì di una solida panca di legno dotata di un semplice cuscino; quello che invece dà la necessaria solennità e suggerisce l’idea del trono è il drappo di velluto rosso che sembra letteralmente appeso dietro la Vergine e che ricade con pieghe ampie e marcate sul cuscino sul quale Lei è assisa, per poi fluttuare più giù fin quasi al pavimento.
Siamo alla metà del ‘300 e quindi la cultura in voga vuole che la Donna ci sia presentata come una regina, bella e austera, quasi irraggiungibile. Le vesti, solo cromaticamente semplici, sono costituite da un camice di seta cangiante di un rosso pallido, a simboleggiare il dolore; il manto, completo di cappuccio, è ampio e “double face”, azzurro all’esterno, a simboleggiare la natura celestiale di Maria, e d’oro all’interno, a raffigurare la preziosità di quanto in esso è racchiuso. Il solenne indumento è fermato sul petto da un prezioso fermaglio, vero e proprio gioiello finemente composto di oro e di pietre, e si adagia sulle ginocchia della Donna con abbondanza di pieghe che donano spessore e prospettiva alla figura. Ancora un oggetto conferisce e consacra la regalità della Donna: la corona “alla francese” che porta sul capo, anche questa finemente composta di lamine d’oro e pietre preziose. Sulle ginocchia Maria ha il Bimbo che, come tutti i bimbi è irrequieto e si agita e gesticola, tanto che Lei è costretta a tenerlo ben saldo con entrambe le mani. Mentre Lei guarda noi con espressione seria e tuttavia evocativa, Lui guarda Lei e vuole chiaramente sciogliersi da quell’abbraccio che gli impedisce di scendere e realizzare quello che già le sue mani dichiarano e che sarà poi il suo destino ultimo: la salvezza dell’umanità, indicata dal gesto benefico della manina destra, da realizzarsi attraverso il suo sacrificio personale e totale, indicato dall’uccellino rosso che tiene con la manina sinistra e che guarda proprio Lui. Il visetto del Bimbo, delicato e innocente, è circonfuso da un nimbo d’oro sul quale è già inciso il segno del patibolo.
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Metti in corsivo il cappello o fra virgolette il testo di Miotto, in modo che sia evidente l'originale.


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