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Al di là dei legami di sangue: vivere la fraternità del Vangelo

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Messaggio  federico.meneghello Sab 15 Giu - 16:04


Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare. Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: «Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano». Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre».(Mc 3,31-35)
Una delle novità del Vangelo sta nel rivelare che non sono i legami di sangue ad aprire alla comprensione e alla comunione profonda con il Signore. Non è il legame di sangue alla base dell’appartenenza alla sua famiglia, che è la Chiesa. Ma il fondamento è la decisione di farsi suoi discepoli: l’obbedienza alla sua Parola ci introduce al regno del Padre.
E qui splende in tutta la sua bellezza Maria, la mamma di Gesù. La grandezza di Maria non sta tanto nell’essere madre di Gesù dal punto di vista fisico, ma primariamente perché ne è la prima e perfetta discepola. Questo per Maria è infinitamente più importante. Ella facendo la volontà del Padre si colloca pienamente dentro la Chiesa, la nuova famiglia del Signore: qui è sorella e madre. Sorella dei discepoli, e madre perché capace di generare alla fede nel Figlio suo altri discepoli. Agostino insegna che “Maria è più felice di ricevere la fede di Cristo che di concepire la carne di Cristo”. Non è questione di legame di sangue per Maria, ma di aprirsi alla sequela di comunione col Figlio. In fondo il Rosario ci invita a contemplare il cammino d’obbedienza della Madre: sostare sul suo sì, pronunciato non solo al momento dell’annunciazione, ma incessantemente sino ai piedi della croce. Ecco perché da sempre la Chiesa ci indica che la vera devozione a Maria è accogliere il suo invito a Cana: “Fate quello che Gesù vi dirà” (Gv 2,5).
Il cristiano è colui che, sull’esempio di Maria, “fa” in lui la volontà del Padre sperimentando il suo amore e la sua fedeltà, che lo spingono ad allargare il cuore oltre i legami di sangue e riconoscere ogni uomo come fratello e sorella. Paolo VI ci ricorda che questa obbedienza è possibile innanzitutto per la spinta dello Spirito di Cristo, per intercessione della Vergine: “Vieni, o Spirito santo, vieni per Maria, e da' a noi un cuore grande, aperto alla tua silenziosa e potente parola ispiratrice, e chiuso a ogni meschina ambizione, un cuore grande e forte ad amare tutti, a tutti servire, con tutti soffrire, un cuore grande, forte, solo beato di palpitare col cuore di Dio”.
Nella vita quotidiana tutto questo si traduce in un atteggiamento di apertura incondizionata verso gli altri, mentre oggi si vede prevalere una preoccupante linea di rifiuto e chiusura. Alla fiduciosa convinzione di saper governare il confronto, certamente faticoso, ma infine arricchente, con persone e soggetti organizzati che vengono da altri paesi e da altre culture subentra l’inquietudine di perdere se stessi. La disponibilità all’incontro con mondi diversi viene perciò sostituita dalla chiusura e dalla paura. Giorno dopo giorno ci troviamo impegnati a costruire muri piuttosto che a gettare ponti, a badare ai confini piuttosto che a creare relazioni.
Questo atteggiamento di chiusura ha preso una dimensione politica. Ogni popolo è giustamente orgoglioso della propria identità, si sforza di affermarla e di farla progredire, ma vi sono identità che si chiudono e identità che si aprono ed evolvono. La prima via è quella dei nazionalismi identitari, che spesso nascono e si irrobustiscono facendo credere ai cittadini che i loro problemi dipendono da un colpevole esterno. Si individua una minoranza poco accettata e priva di voce e la si incolpa di essere l’origine di tutti i nostri mali. Al legittimo bisogno di sicurezza non si risponde aumentando la sicurezza, ma additando un colpevole. Se il colpevole non c’è lo si inventa togliendogli quel po’ di protezione che aveva, in modo da indurlo a sentirsi un reietto e a comportarsi di conseguenza, così da giustificare le accuse. E il cerchio si chiude.
Ma quello che, come cristiani, ci dovrebbe colpire e amareggiare in certe posizioni, e ancor più nel fatto che vengano condivise, è la progressiva perdita del sentimento di compassione, quell’identificazione nel dolore dell’altro che è alla radice della nostra umanità e senza la quale non possiamo veramente vivere. Un tempo non troppo lontano eravamo ben più poveri di adesso, eppure eravamo poveri che si sentivano abbastanza ricchi da accogliere altri poveri. Le nostre comunità hanno brillato in passato per lo spirito di solidarietà, compresa l’apertura al mondo. Una terra feconda che ha generato tante e belle vocazioni missionarie. Oggi sembriamo un paese ricco che si immagina di essere così povero da non poter, in parte almeno, accogliere chi è meno ricco di noi. L’Europa, e l’Italia con essa, rischiano su questa strada di perdere la propria anima.
È tempo di contrastare questo atteggiamento di chiusura e rifiuto dell’altro, mediante una più profonda e radicale obbedienza al Vangelo di Gesù. Ciascuno, sull’esempio di Maria, è chiamato a compiere un cammino, che lo porti ad entrare sempre più a vivere il mondo come una famiglia. Una famiglia dove non prevalgono i legami di sangue o etnici, ma la comune umana fraternità donataci dal Padre, attraverso il Figlio suo Gesù. In questo cammino di conversione troveremo sempre accanto a noi pellegrini Maria, che ci è sorella e madre.
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